Caro giornalista ti odio

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La libertà di stampa, l’articolo 21 della nostra Costituzione, la citazione indebitamente attribuita a Voltaire. Tante belle parole, ma in fin dei conti quanti ci credono davvero? Nell’ultima settimana abbiamo assistito ad una serie di episodi che hanno letteralmente calpestato tutti questi valori. Non solo, le discussioni su questo tema sono state eccessivamente viziate da coloro che criticano a gamba tesa dimostrando di non aver compreso il vero problema, cercando strumentalmente qualsiasi scusa per denigrare o far zittire chi non è allineato al proprio pensiero.

Di quali episodi sto parlando? Certamente della minaccia di morte rivolta a Federica Angeli, attraverso un proiettile in una busta recapitato (erroneamente?!) presso la sede del Fatto Quotidiano, dell’assurda condanna al cronista Davide Falcioni, per aver fatto il suo lavoro documentando sul campo una protesta dei NoTav nel 2012, e della sconcertante “querela-bavaglio” da 39 milioni di euro a Nello Trocchia.

Di recente è stato vietato l’ingresso all’evento organizzato a Ivrea dall’associazione Gianroberto Casaleggio al giornalista de La Stampa più odiato dai pentastellati, Jacopo Iacoboni. Un evento politico di indubbio interesse pubblico, dove qualcuno ha cercato di evitare l’irreparabile (da Emilio Carelli a Enrico Mentana) senza purtroppo riuscirci.

La vicenda è stata ampiamente raccontata in ogni suo aspetto, permettendo a chi voleva sostenere a tutti i costi il non diritto a partecipare all’evento di aggrapparsi ad ogni genere di scusa, dal mancato e obbligatorio accreditamento (mentre altri sarebbero entrati comunque) al fantomatico “badge tarocco” (che gli era stato dato da un collega nell’ultimo tentativo, a dir poco disperato, di farlo entrare), ma la realtà dei fatti è un’altra e inconfutabile: è un giornalista non gradito per motivi personali.

Le reazioni che ho riscontrato sono a dir poco sconcertanti, anche da parte di altri colleghi giornalisti che di fatto hanno dato uno schiaffo alla loro stessa categoria. Uno in particolare Gianluigi Nuzzi, il quale nel 2013 definì “scelta oscurantista” e “altro che trasparenza libertà di stampa” l’essersi visto negare l’accredito stampa per seguire il Conclave, lui che era il giornalista scomodo per la Santa Sede, mentre nel parallelo di Ivrea è “solo polemica“.

Le truppe del web armate di tastiera non si sono tirate indietro sia da una parte che dall’altra, abituati a rivolgere la loro indignazione a targhe alterne di fronte a simili episodi. Un giornalista può piacere o meno, ma giustificare ad ogni costo l’esclusione denota che non hanno imparato un bel niente della nostra storia più recente. Riscontro fin troppo la pena del taglione da parte di coloro che pretendono di sostenere il caso citandone un altro o cercano l’appiglio riportando altri episodi simili ma favorevoli. Sembra ormai dimenticato quel triste “editto bulgaro” che coinvolse personaggi amati da una “fazione” e odiati dall’altra, ma parte della prima è quella che agisce con violenza o è la stessa che oggi gioirebbe nel veder chiusi i giornali e osservare certi giornalisti a doversi cercare un lavoro, oppure semplicemente riportandoli in un elenco “intimidatorio” volendoli “disciplinati in spazi appositi“. Non mancano all’appello quelli che attaccano coloro che vengono minacciati di morte, sono indesiderati punto e basta. Mi domando, invano, se impareranno mai il vero significato della classifica pubblicata da Reporters Sans Frontières (RSF – Reporters Without Borders) e del contributo che forniscono con queste reazioni.

Tutto questo mentre chi combatte contro le bufale e la disinformazione viene praticamente censurato vedendosi sequestrato l’intero sito. I colleghi di Butac si sono trovati di fronte a una scelta sproporzionata, proprio quella censura che il sottoscritto, Paolo Attivissimo e lo stesso collega Michelangelo Coltelli condanniamo fermamente da tempo. Non mi stupiscono certe reazioni, sono ormai consapevole di chi vuole veramente un certo tipo di “eliminazione” (o veder “affondare“, ognuno ha la sua).

David Puente

Nato a Merida (Venezuela), vive in Italia dall'età di 7 anni. Laureato presso l'Università degli Studi di Udine, opera nel campo della comunicazione e della programmazione web.
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