Le verità sulla direttiva europea sul Copyright? Vediamoci chiaro, ma chi tace è complice!

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Il 4 luglio 2018 il Partito Democratico diffonde attraverso un’immagine le sue “verità” in merito alla nuova direttiva europea sul Copyright, in discussione il 5 luglio presso il Parlamento europeo:

La verità sul #copyright

#copyrightreform
Partito Democratico Europa – PDEuropa

Nell’ordine, l’immagine riporta i seguenti punti:

L’art.13 avrà effetti sull’intera struttura Internet
FALSO
L’articolo 13 riguarda esclusivamente le piattaforme che ospitano contenuti creativi coperti dal copyright e che utilizzano o sfruttano tale materiale, facendo ingenti guadagni senza corrispondere nulla o molto poco agli autori, ai creativi ed ai titolari di diritti. Si escludono le piattaforme che non agiscono per scopi commerciali come wikipedia, Dropbox e software opensource.

L’articolo 13 censura gli utenti
FALSO
L’articolo 13 non minaccia la libertà di espressione o i diritti fondamentali. Le misure sono applicabili ai servizi che agiscono per scopi commerciali e indicizzano il materiale che viene condiviso sulle proprie piattaforme. Si chiede maggiore responsabilità a tutela degli utenti.

L’art.13 intacca la privacy dei consumatori e dei diritti fondamentali
FALSO
L’art.13 dice chiaramente che le misure previste non richiedono l’identificazione dei singoli utenti né tantomeno l’elaborazione dei dati personali in ottemperanza al GDPR.

L’art.13 favorisce monitoraggi indiscriminati, filtri
FALSO
L’art.13 rifiuta la censura indiscriminata, privilegiando una cooperazione tra rete e proprietari di diritti per il rilascio di licenze su contenuti protetti da copyright o la rimozione degli stessi.

L’art.11 impone una ‘link tax’
FALSO
Non esiste alcuna “link tax”. L’art.11 non pregiudica la possibilità per gli utenti di condividere link di pubblicazioni giornalistiche sui social media. Si chiede ai giganti del web di garantire la giusta remunerazione agli editori e ai giornalisti.

La mia contestazione riguardava in particolare l’articolo 11. Dopo essermi seduto e aver ripreso la calma, spieghiamo un po’ di cose tenendo in considerazione il testo del 29 giugno 2018 pubblicato sul sito del Parlamento europeo:

Article 11

Protection of press publications concerning digital uses

1. Member States shall provide publishers of press publications with the rights provided for in Article 2 and Article 3(2) of Directive 2001/29/EC so that they may obtain fair and proportionate remuneration for the digital use of their press publications by information society service providers.

1a. The rights referred to in paragraph 1 shall not prevent legitimate private and non-commercial use of press publications by individual users.

Al posto di “tassa” (“link tax“) potremmo parlare di “licenza“, ma per ottenerla si parla di “compenso equo” (“proportionate remuneration“) che non è ben precisato.

Secondo il Partito Democratico non pregiudica la possibilità per gli utenti di condividere link di pubblicazioni giornalistiche sui social media, ma a dover attuare nel rispetto della direttiva non sono gli iscritti al Social Network. Sarà quest’ultimo a dover operare (i “giganti del web“), ed eventualmente a pagare il “compenso equo” per ottenere la licenza d’uso. L’utente europeo, come avviene ora per il Los Angeles Times al quale è impedita la lettura in seguito al GDPR, si potrebbe ritrovare impossibilitato nel condividere un link ricevendo un messaggio di errore per “mancata lincenza“.

Riguarda solo i “giganti del web“? Quello che leggiamo è che il punto 1 dell’articolo 11 non tocca le attività private e non commerciali, ma un blog come lo si può considerare attraverso questo il titolare percepisce del denaro attraverso banner pubblicitari o donazioni? A questo punto rischia di decadere il concetto di “non commerciale” siccome vi è un compenso economico. Comprendete perché anche Wikipedia, da questo punto di vista, rischia caro in tutti i sensi.

Sull’articolo 13, maggiormente trattato nel post del Partito Democratico. Parliamo appunto di opere protette da copyright, ma chi le deve garantire?

Article 13

Use of protected content by online content sharing service providers

-1. Without prejudice to Article 3(1) and (2) of Directive 2001/29/EC, online content sharing service providers perform an act of communication to the public and shall conclude fair and appropriate licensing agreements with rightholders, unless the rightholder does not wish to grant a license or licenses are not available. Licensing agreements concluded by the online content sharing service providers with rightholders shall cover the liability for works uploaded by the users of their services in line with terms and conditions set out in the licensing agreement, provided that those users do not act for commercial purposes or are not the rightholder or his representative.

Coloro che dovranno vigilare saranno i proprietari delle piattaforme dove operano gli utenti e saranno allo stesso tempo i responsabili delle loro violazioni. A questo punto risulta molto probabile che la società che gestisce una piattaforma di condivisione, non avendo la “licenza“, operi in maniera molto severa attraverso “tecnologie efficaci” (ad esempio dei filtri o controlli preventivi) al caricamento dei file da parte degli utenti:

Where licensing agreements are concluded, they should also cover, to the same extent and scope, the liability of users when they are acting in a non-commercial capacity.

In order to ensure the functioning of any licensing agreement, online content sharing service providers should take appropriate and proportionate measures to ensure the protection of works or other subject-matter uploaded by their users, such as implementing effective technologies.

Questa direttiva, così come scritta, non aiuta affatto. Immaginate quanto sia macchinoso, quanti siano i contenuti da dover verificare e controllare, quanti sul quale si deciderà ottenere licenza e non. Come riusciranno a distinguere un “meme” satirico o una gif animata che riprende la scena di un film per goliardia? Se carichiamo una breve scena di un video per commentarlo, per farci una recensione o per smentirlo, cosa succederà?

Non solo, il prof. Stefano Zanero aggiunge alla discussione che non ci sono nemmeno i mezzi giusti e non sono capaci di interpretare il “diritto di cronaca” e la “satira“:

Il primo ordine di problemi è che la tecnologia di cui sta sta discutendo, il filtro automatico, è ampiamente imperfetta”, commenta ad AGI Stefano Zanero, professore di sicurezza informatica al Politecnico di Milano e tra i firmatari della lettera. “Oggi chi la usa lo fa volontariamente. Ma se lo metti come obbligo rischi che le piattaforme finiranno col togliere anche contenuti leciti per timore di incorrere in sanzioni. Inoltre queste tecnologie peseranno di più sulle spalle di realtà medio-piccole, a partire dalle aziende europee. Infine, i filtri non sanno distinguere il diritto di cronaca, di satira e così via. In generale bisognerebbe tenere presente che le piattaforme di contenuti generati dagli utenti permettono lo scambio di opinione e informazione che sono diritti costituzionalmente garantiti”.

Eccoci nuovamente a dover parlare di “censura indiscriminata” travestita da “prevenire è meglio che curare” (in maniera estrema). Nel dubbio, per sicurezza e paranoia, piuttosto che pagare salato si blocca il contenuto a priori.

Detto questo, quell’immagine e quel testo pubblicato dal Partito Democratico lo cestino volentieri.

Non si può essere “neutrali” di fronte a questa direttiva, che per fortuna è stata “rimandata a settembre“. Non dico che il copyright veda abolito o cose simili, la protezione delle opere d’autore è sacrosanta, ma bisogna lavorare a qualcosa che non vada ad azzoppare la Rete. Come disse qualcun altro oggi, “chi tace è complice“.

 


Per approfondire:

David Puente

Nato a Merida (Venezuela), vive in Italia dall'età di 7 anni. Laureato presso l'Università degli Studi di Udine, opera nel campo della comunicazione e della programmazione web.
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