Violentata a 13 anni da 9 persone, per qualcuno se l’è andata a cercare. Dove vogliamo finire?

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Un episodio triste, troppo, quello avvenuto in terra calabrese. Si parla di omertà, di colpevoli vicini alla cosca della ‘ndrangheta, figli di marescialli dell’esercito e fratelli di poliziotti, e soprattutto di una bambina di 13 anni stuprata per tre lunghi anni da 9 pedofili, ma la cosa che maggiormente deprime in questo momento è la reazione di certi individui che fatico a considerare esseri umani: per loro “se l’è andata a cercare“.

Ne parla La Stampa:

La bambina. «Un metro e 55 per 40 chili», c’è scritto nelle carte dell’inchiesta. È della bambina che stanno parlando. «Se l’è cercata!». «Ci dispiace per la famiglia, ma non doveva mettersi in quella situazione». «Sapevamo che era una ragazza un po’ movimentata». Movimentata? «Una che non sa stare al posto suo». Arriva in piazza il parroco Benvenuto Malara, va davanti alle telecamere: «Purtroppo corre voce che questo non sia un caso isolato. C’è molta prostituzione in paese».

Hanno violentato la bambina per tre anni di seguito. La prostituzione non c’entra niente. L’hanno violentata in nove, a turno e insieme. Tenendola ferma per i polsi, e poi obbligandola a rifare il letto. «C’era la coperta rosa», ha ricordato la bambina nelle audizioni con la psicologa. «E non avevo più stima in me stessa. Certe volte li lasciavo fare. Se mi opponevo, dicevano che non ero capace. Mi veniva da piangere. Mi sentivo una merda». Andavano a prenderla all’uscita della scuola media Corrado Alvaro, con la lettera V dell’insegna crollata. È sulla via principale, proprio di fronte alla caserma dei carabinieri. Caricavano la bambina in auto e andavano al cimitero vecchio, oppure al belvedere o sotto il ponte della fiumara. Più spesso in una casa sulla montagna a Pentidattilo, dove c’era il letto.

[…]

Ce n’è già stato troppo di silenzio, a Melito di Porto Salvo. Le parole qui sono sempre colpevoli, come uno specchio che rimanda indietro l’immagine che non si deve vedere. Il sindaco Giuseppe Meduri sale sul palco ed attacca la giornalista Giusy Utano del TgR Calabria: «Certe ricostruzioni uscite sul servizio pubblico ci hanno offesi». Ma che colpa ne ha la giornalista, se una delle voci raccolte nel servizio mandato in onda era quella di una signora che diceva così? «Sono vicina alle famiglie dei figli maschi. Per come si vestono, certe ragazze se la vanno a cercare».

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Uno stupratore si chiama Giovanni Iamonte, «rampollo di un esponente di spicco della locale cosca della ’ndrangheta, soggetto notoriamente violento e spregiudicato». Un altro stupratore si chiama Antonio Verduci, ed è figlio di un maresciallo dell’esercito. Un altro stupratore è Davide Schimizzi, fratello di un poliziotto. Intercettato durante le indagini, chiede consigli proprio a lui. E li ottiene: «Quando ti chiamano, tu vai e dici: non ricordo nulla! Non devi dire niente! Nooooo. Davide, non fare lo ”stortu”. Non devi parlare. Dici: guardate, la verità, non mi ricordo. E come fai a non ricordare? Devi dire: sono stato con tante ragazze, non mi ricordo!».

Siamo arrivati al “Sono contrario allo stupro, ma …“.

Non è la prima volta che leggiamo storie di questo genere, dove di fronte allo stupro si accusa non il delinquente, bensì la vittima. Eppure quando si tratta di uno straniero, anche per il solo fatto di essere accusato e non ancora giudicato colpevole, partono le richieste di castrazione chimica (e magari rispunta la storiella di Putin e la Russia contro gli stupratori). Certi commenti, come quelli sotto riportati relativi ad un caso del 2015, non migliorano certo la situazione italiana:

Lo screen dei commenti pubblicati in un caso del 2015 dalla pagina Facebook dei 99 Posse
Lo screen dei commenti pubblicati in un caso del 2015 dalla pagina Facebook dei 99 Posse

Lo stupro è un reato, punto! Purtroppo, a causa di questi stereotipi assurdi dove si accusa la vittima, molti casi non vengono nemmeno denunciati per paura di essere giudicati. Posso riportare dei dati Istat, seppur datati al 2004, per spiegare nel dettaglio le conseguenze di queste ridicole accuse nei confronti delle vittime:

motivi-non-denuncia

Le donne che hanno subito una violenza consumata hanno indicato maggiormente la paura di essere giudicate e non credute e la paura di essere trattate male e con poca riservatezza, la paura di non aver denunciato per imbarazzo, vergogna o per un senso di colpa. Le vittime, inoltre, riferiscono di non aver denunciato perché temevano per la propria incolumità o non volevano che il violentatore fosse mandato in prigione.

Le persone che accusano la vittima di uno stupro ritenendola colpevole del fatto (“se l’è cercata“), per via dei suoi vestiti o del suo modo di comportarsi, si ricordino che i veri colpevoli del reato sono gli stupratori e che con questo loro modo di pensare danneggiano le attuali e le future vittime che avranno paura di denunciare.

Chi dice “se l’è cercata” è colpevole di questo problema.

David Puente

Nato a Merida (Venezuela), vive in Italia dall'età di 7 anni. Laureato presso l'Università degli Studi di Udine, opera nel campo della comunicazione e della programmazione web.
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