Caso Open Arms e Josepha: il complotto del set cinematografico e i 24 minuti

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Sul caso Josepha e Open Arms non si finisce mai di lavorare, soprattutto quando la fantasia di qualcuno influisce sulla percezione della realtà degli altri che vogliono trovare risposte alle loro domande e conferme a favore delle loro convinzioni. Ci si difende dietro il “diritto di essere dubbiosi” o del “ognuno è libero di farsi la propria opinione“, ma una cosa sono i dubbi e le opinioni (conditi da faccine sorridenti ed emoji vari), un’altra i fatti.

Da qualche giorno circolano diverse immagini in inglese con un’analisi dei fatti relativi al salvataggio, insinuando che vi sia stata una sorta di messinscena.

La foto del salvataggio di Josepha con i punti in verde numerati per contare gli operatori nel gommone di Open Arms

Se pensavate che i fanatici che teorizzano il “non allunaggio” fossero dei casi isolati vi sbagliate di grosso. Sono ormai anni che ci ritroviamo a dover spiegare le foto e le storie che ci sono dietro a certe persone, ma questi dovrebbero porsi sempre una semplice domanda: perché mai questi fotografi sono così “imbecilli” da pubblicare e mettere in vendita tramite i vari Gettyimage il “set cinematografico“?

 

“Open Arms lasciò Josepha #24MINUTI in mare”

In un lungo thread su Twitter, l’utente “IAmJamesTheBond” riporta una sua personale analisi degli scatti fotografici del salvataggio si Josepha. Cosa avrebbe scoperto? Un presunto “vuoto” di 24 minuti tra la prima foto e il recupero, insinuando con una certa disinvoltura l’allestimento della messinscena mentre lasciavano attendere la donna in acqua:

2 – “SILENZIO SI GIRA. Motore. Partito. Ciak: Josepha 4. AZIONE!”

[…]

3A – “Tranquilla Josepha, andiamo a prendere altri operatori e 5 o 6 macchine fotografiche, ti fotografiamo per altri #24MINUTI e poi ti salviamo… dopo averti buttata in acqua rischiando di farti affogare, perchè così sei più fotogenica. Noi eroi umanitari siamo fatti così.”

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Le prove portate dall’utente sono contenute nei dati Exif delle foto di Pau Barrena, partendo da quella con il gommone ancora “integro” scattata il 17 luglio 2018 alle ore 5:30 UTC (7:30 ora nostrana) e quelle successive delle 5:53:45 UTC e 5:54:29 UTC.

 

Il momento dell’arrivo e del salvataggio

I dati della foto del gommone “integro” sono stati prelevati dall’archivio fotografico “AFP Forum“, dove troviamo altre tre foto di Pau Barrena scattate alle 5:52 UTC e alle 5:53 UTC da due angolazioni diverse (complice il percorso fatto dal gommone di Open Arms dove era a bordo il fotografo). La prima mostra il momento in cui si avvicinano al gommone non più “integro“:

La foto di Pau Barrena delle 5:52 UTC poco prima del salvataggio.

Nell’arco dello stesso minuto da uno dei due gommoni di Open Arms si butta in acqua uno dei soccorritori, Javier Filgueira, il quale aveva notato che c’era una persona (Josepha) che poteva essere ancora in vita:

La foto di Pau Barrena delle 5:52 UTC durante il salvataggio.

Abbiamo un orario più preciso del momento relativo al salvataggio, che era iniziato già a partire dal minuto 5:52, come vediamo dai dati forniti dal sito di AFP.

La foto di Pau Barrena delle 5:53 UTC durante il salvataggio, dove Javier Filgueira aveva già raggiunto Josepha.

 

Le angolazioni di ripresa e l’obiettivo

Ci sono due punti che non vengono considerati dal teorico osservatore.

In quelle sopra riportate notiamo la presenza dell’orizzonte grazie anche all’angolatura di ripresa orizzontale, mentre risulta mancante in quella del gommone ancora “integro” che pare essere scattata da un angolazione dall’alto.

Un semplice schema che spiega le angolazioni verticali di ripresa

Ci sono altri elementi da tenere in considerazione nella foto delle ore 5:30 UTC che portano a considerare l’uso di un teleobiettivo da parte di Pau Barrena.

La foto del gommone ancora “integro”

Il teleobiettivo ha come caratteristica la capacità di compressione dei piani, avvicinandoli tra di loro fino a sovrapporli. Chiamiamolo pure effetto “schiacciatura“, dove all’aumentare della lunghezza focale gli elementi ritratti risultano sempre più ravvicinati. È quello che accade con la foto del gommone “integro“, dove la distanza tra la poppa e la prua viene letteralmente schiacciata e l’acqua nella parte superiore dello scatto risulta molto “vicina“.

All’aumentare della lunghezza focale gli elementi della foto risultano sempre più ravvicinati

Ecco alcune foto per mostrare il risultato ottenuto dall’effetto “schiacciatura” tramite un teleobiettivo:

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Caratteristiche che non si riscontrano nelle foto scattate con un diverso obiettivo a breve distanza e con l’angolazione tendente dall’alto, come la seguente sempre di Pau Barrena:

Una foto di Pau Barrena scattata senza l’ausilio di un teleobiettivo e a distanza ravvicinata

 

La foto scattata dalla Open Arms

L’uso del teleobiettivo e dell’angolatura di ripresa dall’alto ci permettono di intuire che la foto sia stata scattata da una delle due navi, la Open Arms o la Astral. Per capire dove si potesse trovare Pau Barrena in quel momento bisogna tenere conto delle persone presenti a bordo dei gommoni.

Nella foto la Open Arms con a bordo due dei gommoni in dotazione dal gruppo

I gommoni della ONG sono quattro, ottenuti grazie alle donazioni ricevute nel 2015 e negli anni successivi. Due di questi sono in dotazione della nave Open Arms, altre due nella Astral. Una di queste ultime è quella che viene ripresa dalle foto di Pau Barrena, carica di fotografi e giornalisti.

La foto di Barrena che ritrae il gommone in dotazione della nave Astral

A conferma che si trattasse del gommone in dotazione della Astral è la presenza del fotografo italiano Alessio Paduano (passeggero proprio in quella nave), autore della foto pubblicata nell’articolo di Internazionale a firma Annalisa Camilli.

Il perché c’erano tanti operatori e il come era avvenuto il distaccamento dei pezzi del gommone in cui era a bordo Josepha lo spiegherò nella prossima parte dell’articolo che state leggendo.

 

La ricostruzione degli eventi

Il teorico osservatore pone delle domande:

Come potete vedere, durante i soccorsi c’erano tutte e due le navi di Open Arms, il veliero Astral con sopra la stampa e l’On. Palazzotto e l’altra nave. Però la nave è arrivata molto prima di Astral ma hanno aspettato il suo arrivo per fare il soccorso. Perchè? Cosa hanno fatto?

Annalisa Camilli, nel suo articolo pubblicato su Internazionale il 17 luglio alle ore 13, aveva raccontato un momento del salvataggio di Josepha:

Un soccorritore spagnolo di 25 anni, Javier Filgueira, si è buttato in acqua dalla lancia di soccorso quando ha visto che Josephine poteva essere ancora viva.

Questa è solo una parte del racconto, ma è fondamentale per comprendere il resto perché fino all’arrivo dei gommoni di Open Arms non si era tenuta in considerazione la presenza di vita a bordo del relitto.

La foto di Pau Barrena con il gommone ancora “integro” scattata il 17 luglio 2018 alle ore 5:30 UTC (7:30 nostrane)

L’avvistamento dei resti del gommone era avvenuto a bordo della stessa Open Arms e l’orario dello scatto della foto di Barrena coincide con il racconto riportato da Annalisa Camilli:

[…] poi alle 7.30 di mattina del 17 luglio, dal ponte della nave Open Arms, a 80 miglia dalla Libia, qualcuno ha visto i resti del gommone.

Dalle due navi partono due gommoni. Il primo con a bordo Pau Barrena venne calato dalla Open Arms (considerate i tempi necessari per l’operazione, di certo non pochi secondi). Il secondo proveniva dalla Astral che, visto considerato che non si trattava inizialmente di una missione di salvataggio, era carico di giornalisti e fotografi per testimoniare l’accaduto (l’abbandono di tre corpi). Per motivi tecnici, il primo gommone ad arrivare fu quello della Astral (era a rimorchio, rispetto agli altri che dovevano essere calati).

Risulta palesemente comprensibile che dal momento dell’avvistamento (5:30 UTC, 7:30 ore nostrane), alla preparazione dei mezzi (quello di Open Arms doveva essere calato da una delle “gru” laterali) fino all’arrivo sul posto ci siano voluti diversi minuti coprendo gran parte dei 24 minuti “scoperti” dai teorici del complotto. Inoltre, bisogna considerare che le onde causate dall’arrivo dei gommoni (che di certo non volavano) aveva mosso i resti di quello con a bordo Josepha a tal punto da scatenarne la loro dispersione in mare (incluso il “serbatoio” blu).

A questo punto ci ricolleghiamo al racconto di Annalisa Camilli, dove l’operazione esplorativa diventa di salvataggio quando il giovane spagnolo Javier Filgueira si lancia in acqua dopo aver notato un segno di vita da parte uno dei corpi.

 

“Avevano soccorso prima il bambino, poi Josepha”

Il primo contatto con i tre corpi fu proprio quello con Josepha, contrariamente a quanto sostenuto dai teorici “osservatori“:

@MeDa1116: “Quindi portano su prima il bimbo che comunque è morto, e lasciano ancora un po’ Josefa ammollo, tanto per farla “ipotermizzare” ancora un po’. ?

@IAmJamesTheBond: “La “giornalista” @AnnalisaCamilli a bordo di Open Arms ha negato, lei dice che hanno salvato prima Josepha, ma è evidente dalle foto che quelli di Open Arms hanno prima “soccorso” il bambino chiaramente già affogato, e solo dopo Josepha che invece era viva.

La prima a venire soccorsa era Josepha. L’autore del thread fa intendere che vi sia stata una priorità a fini scenici, ma il recupero del corpo del minore era dovuto al fatto che stava scivolando dal luogo in cui poggiava. Il tutto era avvenuto in pochi secondi nello stesso minuto.

Dalle foto scattate e dal video pubblicato dalla stessa ONG (condiviso dal teorico osservatore nel thread) si nota chiaramente che i soccorritori erano entrati in contatto prima con Josepha mentre il corpo del minore era ancora appoggiato insieme all’altro nei resti del gommone:

In questo fotogramma del video pubblicato da Open Arms è visibile ancora il corpo del minore tra i resti, mentre Josepha era già aggrappata al gommone della Astral.

Ulteriore conferma arriva da un’altra foto scattata da un’altra angolazione da Pau Barrena, dove si nota Javier Filgueira assieme a Josepha e il corpo del minore sulla sinistra accanto all’altro privo di vita.

In questa foto, scattata alle 5:53 UTC, notiamo Javier Filgueira insieme a Josepha mentre gli altri due corpi rimangono sulla sinistra.

L’importante, come sempre, è l’onestà intellettuale.

 

Per scrivere questo articolo ho contattato in privato diversi protagonisti presenti nelle due navi e nei gommoni, sia via chat che telefonicamente, senza dire loro (tranne all’ultimo da me contattato prima della stesura dell’articolo) che avevo già sentito gli altri e guidando la discussione su diversi aspetti della vicenda. Li ringrazio per la disponibilità.

Nota: l’articolo è stato aggiornato riportando il numero esatto dei gommoni in dotazione, dove la nave Astral ne aveva un secondo, e l’arrivo del primo gommone. 

 

AGGIORNAMENTO Replica del teorico osservatore e risposte

Il teorico osservatore ha replicato al mio articolo. Riporto le sue critiche e rispondo di conseguenza.

Questa è al tua “onestà” @davipuete, ci attribuisci affermazioni che non abbiamo fatto per poi facilmente smentile? Chi ha detto che era un set? Tu, non noi! Abbiamo solo chiesto ad Open Arms perchè hanno perso #24MINUTI prima di salvare Josepha.

L’utente, dunque, tenta di smentire i suoi palesi riferimenti alla messinscena, come se non avesse mai scritto:

[1] “SILENZIO SI GIRA. Motore. Partito. Ciak: Josepha 4, inquadratura 3, take 5. Silenzio. AZIONE!”

[2] 2 – “SILENZIO SI GIRA. Motore. Partito. Ciak: Josepha 4. AZIONE!”

[3] 3A – “Tranquilla Josepha, andiamo a prendere altri operatori e 5 o 6 macchine fotografiche, ti fotografiamo per altri #24MINUTI e poi ti salviamo… dopo averti buttata in acqua rischiando di farti affogare, perchè così sei più fotogenica. Noi eroi umanitari siamo fatti così.”

Del resto, come dicevo a inizio articolo, ci si difende dietro il “diritto di essere dubbiosi” o del “ognuno è libero di farsi la propria opinione“. Un conto è porre delle domande in maniera educata e costruttiva, un conto è insinuare, denigrare, diffamare delle persone per poi “fare delle domande” dove si accettano solo risposte a proprio favore.

Prosegue:

David Puente: “L’autore del thread fa intendere che vi sia stata una priorità a fini scenici.” No, questo è quello che tu VORRESTI che avessimo detto perchè sei intellettualmente disonesto. Quello che è stato detto è che la Camilli fa una racconto che non corrisponde con le foto.

Come sopra:

[3] 3A – “Tranquilla Josepha, andiamo a prendere altri operatori e 5 o 6 macchine fotografiche, ti fotografiamo per altri #24MINUTI e poi ti salviamo… dopo averti buttata in acqua rischiando di farti affogare, perchè così sei più fotogenica. Noi eroi umanitari siamo fatti così.”

Prosegue:

Dunque @DavidPuente ci confermi che, tu eroico soccorritore professionista di Open Arms con anni di esperienza, se vedi un possibile superstite di un naufragio non ti butti in mare per verificare e salvarlo ma perdi #24MINUTI? Grazie, è ESATTAMENTE quello che volevamo dimostrare.

Il teorico osservatore è convinto che il tutto fosse fin dall’inizio un’operazione di salvataggio, ma già da quanto raccontato dalla stessa Annalisa Camilli (considerata da lui come bugiarda) si apprende che non erano stati riscontrati segni di vita nei tre corpi presenti nei resti del gommone fin dal momento dell’avvistamento. Quest’ultimo, ricordiamolo, avvenuto alle 7:30 del mattino (orario che coincide con quello della foto di Pau Barrena con il teleobiettivo) e che da quel momento gli operatori dovevano prepararsi, scaricare il gommone in acqua dalla Open Arms, salire a bordo e percorrere il tragitto dalla nave fino ai resti del gommone (la distanza è evidente nelle stesse foto condivise dal teorico osservatore).

Prosegue:

– “Bagnino, laggiù sembra che ci sia un gommone alla deriva con delle persone.”
– Bagnino: “Mah, semmai sono vive, o forse morte. Nel dubbio, siccome ho appena fatto colazione e non mi posso bagnare, prima prendo il pattino, poi tra #24MINUTI vado a vedere con 6 fotografi.”

Un tweet che dimostra il tentativo di proseguire una narrativa forzata dove vuole ottenere delle risposte, ma non ne accetta una se non una conferma alle sue teorie.

Vediamo altri tweet, partendo da questo:

No, io non sarei così complottista. Non hanno “inscenato”, al massimo hanno “drammatizzato” il reportage. Sono solo degli incapaci che hanno perso #24MINUTI per fare un salvataggio. La distruzione del piano del gommone è però un elemento interessante da un altro punto di vista.

Siamo passati da un “non hanno inscenato” (“SILENZIO SI GIRA. Motore. Partito. Ciak: Josepha 4. AZIONE!”) a un “hanno drammatizzato” (quindi avrebbero, secondo il teorico osservatore, effettuato delle operazioni per mettere in scena una situazione diversa da quella presente), ma comunque “sono degli incapaci che hanno perso 24 minuti per fare un salvataggio“. Poi torna sulla “distruzione del piano del gommone“, quello dove lui aveva sostenuto che gli operatori di Open Arms avevano “DISTRUTTO facendo finire Josepha nel mare rischiando di farla AFFOGARE“. Inutile scrivere e far leggere al teorico osservatore che non era un’operazione di salvataggio e che lo è diventata una volta che si erano resi conto che c’erano segni di vita in uno dei tre corpi a bordo dei resti del gommone, non ne vuole sapere.

Prosegue:

L’ha detto qualcuno di Open Arms che il bambino era morto da poco e se fossero arrivati qualche minuto prima forse si sarebbe salvato. E’ evidente dalla prima foto che il bambino era già morto, però questo non giustifica il fatto che degli eroici professionisti perdano #24MINUTI.

Fate attenzione al testo del tweet. L’avvistamento del gommone era avvenuto alle 7:30 del mattino, la foto è delle 7:30 del mattino. Se era evidente dalla prima foto (quella delle 7:30) che il bambino era già morto l’unica “colpa” degli operatori di Open Arms sarebbe non aver avvistato i resti del gommone prima delle 7:30. Poi torna sui 24 minuti “persi“, ma non mi ripeto.

Vediamo altri quattro tweet, partendo da questo:

Spiegaci @davidpuente, chi hai contattato a bordo? Chi sono i tuoi testimoni oculari, sulla Open Arms, diccelo. Lo vogliamo proprio sapere perchè tutti quelli che abbiamo contattato noi hanno racconto delle versioni tutte smentibili dalle foto

Già altri utenti avevano preteso di sapere chi avevo contattato tra coloro che erano presenti nel luogo dell’accaduto. Come potete vedere, anche dal tenore dei commenti, non importa chi ha parlato e cosa ha detto perché per lui “non sono è credibile” (del resto avrebbero partecipato tutti al “ciak“). Ben consapevole del suo tentativo di giungere a quel preciso punto, sarebbe curioso capire dove ha riportato le dichiarazioni di chi avrebbe contattato per poi smentirle. Poteva richiamarli per chiedere informazioni sui 24 minuti, ma dal 30 luglio ad oggi non se ne ha traccia.

Prosegue:

No, @DavidPuente ha detto che a degli eroici professionisti dei salvataggi che – dicono loro – già da ore dirigevano su quel punto sapevando che avrebbero trovato qualcosa, gli ci sono voluti #24MINUTI per calare un tender. Peggio di Schettino. La foto è intorno alle 5:53.

Ancora: non era considerata una missione di salvataggio, lo è diventata una volta che si son resi conto da vicino che uno dei corpi presentava segni di vita. L’avvistamento è avvenuto alle 7:30, i tempi per raggiungere il posto seguendo tutte le operazioni necessarie (tra questi calare il gommone in acqua) necessitano di tempo, non esiste ancora il teletrasporto di Star Trek.

Ancora questo:

.@Ale_Zuddas evidenzia un altro punto sfuggito al geniale @DavidPuente. C’è solo una persona che cerca d’issare sul tender Josepha – non proprio un un peso piuma -, perchè tutti gli altri “eroici professionisti” di Open Arms hanno in mano una telecamera. A destra Oscar Camps.

I fotografi a bordo di quei gommoni e a bordo delle due navi di Open Arms non sono soccorritori, salvo in casi eccezionali. Interessante la testimonianza su TPI di Valerio Nicolosi, fotografo a bordo della stessa Open Arms, il quale permette di far comprendere a chiunque la necessità di rispettare i propri ruoli e di seguire degli schemi durante un salvataggio.

Concludiamo con questa risposta data al tweet di Erasmo Palazzotto:

.@EPalazzotto, nonostante non abbia risposto alle domande che le avevamo fatto, conferma che gli eroici soccorritori professionisti sprecano #24MINUTI per recarsi da un naufrago? Non potevano buttarsi da Asral? Peggio di Schettino. Grazie per aver confermato la NOSTRA VERSIONE.

A parte pretendere di sostenere che il mio articolo abbia “confermato la LORO versione” (“loro” di chi, plurale maiestatis?) ritenere che gli operatori potevano buttarsi dalla Astral, ben distante dal relitto, per effettuare a nuoto una missione di salvataggio (che non lo era fin dall’inizio) conclude ogni discussione. Direi che basta e avanza.

 

AGGIORNAMENTO 2

Un altro utente (JB , @2_teikumi) risponde con argomentazioni interessanti.

Un rapido datapoint sulla velocità di lancia di RHIB: in meno di 2 minuti, dopo che l’equipaggio è pronto, qui http://www.offshoremarinecranes.com/products/davit … Modelli diverso da altro produttore (http://www.vestdavit.no ) su #OpenArms – qui https://photos.marinetraffic.com/ais/showphoto

Nei tweet successivi riporta due video dove due gommoni vengono fatti calare in acqua dai macchinari: video1, video2.

Il punto tenuto in considerazione dall’utente sono i 2-3 minuti di tempo per compiere l’operazione, sottolineando ciò che viene riportato all’interno del sito Offshoremarinecranes.com:

Launch a rescue boat in no greater than 2 min. from crew ready

Fa bene l’utente a sottolineare con un diverso colore la scritta “from crew ready“, così come averlo specificato nel suo tweet (“dopo che l’equipaggio è pronto“).

Ragioniamo ancora una volta:

  1. entrambe le navi si erano dirette sui luoghi delle operazioni avvenute la sera prima;
  2. ogni nave stava perlustrando zone diverse al fine di coprire l’area che avevano deciso di controllare;
  3. dalla Open Arms, alle 7:30 del mattino, viene avvistato il resto di un gommone dove si suppone i libici siano intervenuti la sera prima;
  4. gli osservatori della Open Arms studiano la situazione, a distanza, con binocoli e macchine fotografiche, e non notano segni di vita nei tre corpi a bordo dei resti;
  5. nel frattempo la Astral, che stava perlustrando un’altra zona nelle vicinanze dei resti, aveva ricevuto comunicazione dell’avvistamento;
  6. si decide di avviare una missione osservativa, non di salvataggio (nessuno stato di emergenza);
  7. i fotografi a bordo della Astral si imbarcano nel gommone (che era a rimorchio, non a bordo) poi diventato oggetto delle polemiche;
  8. nel frattempo anche dalla Open Arms viene calato il gommone e questo arriva poco dopo quello della Astral;

Considerando i tempi trascorsi tra avvistamento (7:30), valutazione, decisione, preparazione, partenza e via dicendo fino al primo scatto ravvicinato dei resti (7:52, quindi circa 22 minuti) si possono comprendere i tempi trascorsi, soprattutto in una situazione non considerata di emergenza visto era stata considerata la missione osservativa.

Vogliamo dare la colpa agli operatori di Open Arms per non aver notato che Josepha era viva e che dovevano quindi attivarsi con urgenza? Criticare è sempre molto facile, soprattutto quando questi operavano da lontano e alle prime luci dell’alba.

Questioni che il teorico osservatore non riuscirà mai a comprendere:

Il lancio di un tender richiede al massimo 3 minuti, con un ritmo rilassato. Open Arms ha sprecato #24MINUTI per raggiungere Josepha. Sono degli “eroici e professionali soccorritori” con anni di esperienza o l’unità di salvataggio “Fantozzi & Filini”?

Del resto, quando hanno bisogno di rafforzare le loro teorie e credenze, soprattutto nei confronti di chi li segue animando loro gli animi, sono abituati a comportamenti del genere:

Un raro video d’annata di un addestramento di Oscar Camps di Open Arms, l’efficentissima ONG spagnola che c’ha messo #24MINUTI per salvare Josepha. ?

Quando mi presento al telefono, o via chat che sia, lo faccio con nome e cognome senza fingere di essere qualcun altro. Le diffidenze c’erano, ma rispetto a certi personaggi mi son dimostrato negli anni corretto e cordiale.

Il rispetto si guadagna, non si regala.

 

AGGIORNAMENTO 3 agosto

In difesa della propria idea, a tutti i costi, Francesca Totolo aveva pubblicato un post Facebook per la quale ritiene di essere stata bloccata (le crediamo sulla parola). Riporto lo screenshot da lei pubblicato:

!! Piano piano i particolari assurdi del salvataggio di #Josepha fatto da Proactiva Open Arms il 17 luglio (ricordiamo che a bordo delle navi c’erano Erasmo Palazzotto e Annalisa Camilli dell’Internazionale) stanno “venendo a galla”: 1. grazie allo sbufalatore del team della #Boldrini David Puente (che ovviamente aveva uno scopo diverso), sappiamo che ci sono voluti addirittura 24 MINUTI per la preparazione della squadra di salvataggio (beh, non è sarà stato facile allestire tutto il materiale audio/video per il set) (https://www.davidpuente.it/blog/2018/08/01/caso-open-arms-e-josepha-il-complotto-del-set-cinematografico-e-i-24-minuti/) 2. grazie ad un ingrandimento di un’immagine del salvataggio, vediamo che Josefa è trattenuta da un solo soccorritore che la tiene per la maglietta mentre gli altri filmano e registrano comodamente dal gommone. 3. Prima di imbarcare l’unica sopravvissuta Josepha, i soccorritori, a favore di telecamere, imbarcano i poveri resti del bambino. Mi chiedo: i “volontari” di Proactiva Open Arms sono dei pessimi soccorritori o degli attori dilettanti? Mi piacerebbe che Oscar Camps iniziasse a rispondere a queste stranezze, invece di scagliarsi ogni giorno contro l’Italia e Matteo Salvini. Francesca Totolo

Per dare sostegno al suo discorso riporta lo screenshot di una parte di questo articolo che state leggendo, quella che le conviene per riportare una tesi come conviene, citando anche lei il tema del “set” e delle “scelte sceniche“. Per quanto riguarda la storia dei 24 minuti non c’è bisogno di rispondere ancora una volta, chi ha letto questo articolo sa benissimo cosa ho scritto. Stesso discorso per il recupero del bambino. Stesso discorso sul perché i fotografi non sono intervenuti, ma c’è di più.

Viene citato un articolo di Annalisa Camilli su Internazionale dal titolo “Abbandonati in mare“:

Il salvataggio
Savas Kourepinis, marinaio greco in servizio sull’Astral, ricorda di aver ricevuto una telefonata molto presto al mattino dal comandante della Open Arms, l’altra imbarcazione dell’ong spagnola: “Alle 5 del 17 luglio ho cominciato la mia guardia al timone dell’Astral, intorno alle 6 ho ricevuto una chiamata da Marc Reig, comandante della Open Arms, che mi ha detto che stavano cominciando un turno di avvistamento. Circa un’ora dopo ci hanno chiamato di nuovo perché avevano visto il relitto di un gommone”, racconta. “C’è almeno un morto”, ha detto Reig alla radio dal ponte della Open Arms. Subito dopo ha esclamato: “Ci sono due morti”, poi ha aggiunto che forse c’era anche un superstite. “Avevo visto una braccio che si muoveva”, ha spiegato più tardi Reig. Sono state calate due lance di soccorso: una dalla Open Arms e una dall’Astral che in poco tempo hanno raggiunto il gommone.

Dopo aver riletto e riascoltato i dialoghi che ho tenuto con le persone che erano sul posto quel giorno, e dopo essermi nuovamente consultato con uno di loro per colmare i vuoti, posso chiarire altri aspetti della vicenda:

  • vengono avvistati i resti del gommone dalla Open Arms;
  • viene avvisata la Astral e tutti i soccorritori a bordo della Open Arms;
  • secondo Marc Reig sembravano tutti morti a bordo dei resti del gommone;
  • tutti si preparano e si vestono;
  • dalla Open Arms calano il gommone, dalla Astral era più veloce perché avevano uno dei gommoni a rimorchio;
  • nel frattempo dalla radio dicono che forse c’era una persona viva a bordo dei resti;
  • la Astral arriva prima nei pressi dei resti, ma essendoci a bordo solo giornalisti e fotografi la loro era solo una missione osservativa;
  • i fotografi e giornalisti non potevano intervenire anche perché non attrezzati, basti guardare le divise che indossavano (in mancanza di equipaggiamento adeguato, e del giusto addestramento, rischiavano di entrare a contatto con la benzina presente in acqua intorno ai resti del gommone);
  • il gommone dei soccorritori della Open Arms era più lontano ed è arrivato dopo quello della Astral, ma non è un fatto voluto;
  • l’uomo che tiene nella maniera contestata la maglia di Josepha non era un soccorritore, che invece era in acqua e la teneva a galla.

Appena potrò farò un riassuntivo di tutta questa storia.

Nel frattempo succede questo:

David Puente

Nato a Merida (Venezuela), vive in Italia dall'età di 7 anni. Laureato presso l'Università degli Studi di Udine, opera nel campo della comunicazione e della programmazione web.
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Regolamento in vigore dal 5 settembre 2016 - Aggiornato 26 agosto 2017.