Il burkini e il principio di laicità. La lotta è sbagliata, state diventando come “loro”

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Il tema della settimana è il burkini, soprattutto in seguito a quanto è accaduto di recente in Francia dove alcuni comuni hanno deciso di vietarne l’uso in spiaggia, ma già qualcuno ne ha parlato a sproposito. Purtroppo capita quando si è ignoranti in materia e non si vuole approfondire. Con questo articolo scoprirete particolari molto interessanti e una prospettiva corretta nell’affrontare il problema del fondamentalismo islamico.

Il burkini è la versione da spiaggia o piscina del burqa?

Ritorno sull’articolo di Micromega del 18 agosto 2016, di cui avevo parlato in precedenza in merito alla foto utilizzata (completamente sbagliata), a firma Paolo Flores d’Arcais:

La proibizione del burkini costituisce una giusta misura in difesa dei “principi di laicità”, come recita l’ordinanza del sindaco di Cannes, o viola la libertà personale e fomenta l’islamofobia, come ha sostenuto su queste pagine lo scrittore francese Bruno-Nassim Aboudrar (e con lui tanti altri in tutta Europa)?

Il burkini non è “una moda” (Aboudrar), è la versione da spiaggia o piscina del burqa, con cui padri e mariti islamici non catafrattamente fondamentalisti vollero concedere alle loro donne la possibilità di prendere un bagno, riaffermando al contempo la loro non-libertà sessuale di essere viste, desiderate e liberamente contraccambiare. Del resto Tariq Ramadan, una star dell’islamismo considerato “riformatore” dal sottomesso pensiero occidentale finto- liberal, predicava (ad Abidjan; a Parigi e Londra si arrampica sugli specchi) che “non è permesso alle donne fare sport in condizioni che svelano il loro corpo agli uomini”.

L’autore dell’articolo sa che cos’è il burqa e la differenza con il burkini?

Il burqa (sinistra) e il burkini (a destra)
Il burqa (sinistra) e il burkini (a destra)

Stiamo parlando di due indumenti completamente differenti, dove il burkini non è affatto come il burqa, piuttosto è più simile all’hijab o all’Al-amira. Riporto di seguito una piccola guida (che forse gli sarà utile) per chiamare con il proprio nome, come è giusto che sia, le tipologie di “velo”:

I tipi di "velo"
I tipi di “velo”

Per farvi comprendere ancora l’uso di questi “veli” nel mondo musulmano, ecco un grafico generato da un sondaggio del 2013 dello University of Michigan’s Institute for Social Research, effettuato in sette paesi a maggioranza musulmana (vediamo la Tunisia, l’Egitto, l’Iraq, il Libano, il Pakistan, l’Arabia Saudita e la Turchia):

Il sondaggio
Il sondaggio del 2013

Il burkini non è neppure nato su ispirazione del burqa. Venne inventato in Australia nel 2004 ad opera di una donna, Aheda Zanetti (potremmo parlare anche di un cognome molto italiano), fashion designer per musulmani ed ebrei con l’obiettivo di permettere alle donne musulmane di poter praticare le attività sportive. Si, il desiderio del burkini è quello della ricerca della libertà della donna musulmana di poter praticare le attività sportive e andare al mare o in piscina ideato da una donna musulmana di origini libanesi e nata in Australia, una donna imprenditrice che registrò a il marchio “burkini” a suo nome e ricavandone larghi profitti (cita la vendita di circa 500 mila costumi). Il sito Ahiida.com, dove vende i burkini online, è intestato a lei.

Aheda Zanetti, ideatrice del burkini.
Aheda Zanetti, ideatrice del burkini.

Inoltre, nell’idea di Zanetti, è possibile usarlo anche da parte dei non musulmani e privi del “velo”, come ad esempio per le donne che non vogliono prendere troppo sole (come nel caso di Nigella Lawson).

La libertà di scelta e le Olimpiadi di Rio 2016

All’articolo di Micromega si unisce l’intervista rilasciata a l’Espresso da Lorella Zanardo, pubblicata il 17 agosto, dal titolo “Zanardo: “Io femminista vi dico: vietare il burkini? È giusto. E di sinistra”“, in merito al quale lascio la parola al blog di Mazzetta con l’articolo dal titolo “Il burkini e le incredibili balle di Lorella Zanardo” del quale riporto una parte riguardante le olimpiadi di Rio:

Non va meglio passando a commentare l’ormai famosa immagine della pallavolista egiziana vista alle olimpiadi con addosso un hijab, il velo a coprire il capo, perché anche qui Zanardo infila una balla clamorosa dicendo che a differenza delle colleghe che giocano in mutande: «L’egiziana infatti non ha scelta, l’occidentale potrebbe anche rifiutarsi…». Peccato che la sua compagna di squadra non indossi l’hijab e che le sue colleghe egiziane impegnate in gare di nuoto, tuffi e nuoto sincronizzato abbiano indossato costumi assolutamente identici a quelli delle colleghe, occidentali e no. «L’egiziana» quindi la scelta ce l’ha eccome. Peccato inoltre che fino a pochi anni fa fosse invece la federazione internazionale della pallavolo a non lasciare alcuna scelta alle atlete: se volevi competere a livello internazionale potevi indossare solo un bikini (con il fianco non più alto di 7 centimetri), anche se faceva freddo e anche ti sentivi a disagio con le telecamere piantate sul culo allo scopo di vendere lo spettacolo ai morti di figa.

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Le egiziane del Beach Volley a Rio 2016

Il burkini fomenta l’islamofobia?

Questa affermazione riportata nell’articolo di Paolo Flores d’Arcais non sta ne in cielo ne in terra. Seguendo tale logica qualsiasi indumento o simbolo di origine religiosa indossato da una qualunque persona potrebbe fomentare l’odio da parte di qualcuno, ma il problema è di questo “qualcuno” che di fatto si dimostra intollerante.

Giusto per chiarire una cosa, in Israele non vi è questo divieto.

Interessante l’articolo di Gheula Canarutto Nemni del 18 agosto dal titolo “Io, donna ebrea, sto dalla parte del burkini. A una condizione” che consiglierei a Paolo Flores d’Arcais. Lo riporto completamente perché merita “92 minuti d’applausi”:

L’ebraismo si basa su un principio fondamentale. Il libero arbitrio. La possibilità di ogni individuo di intraprendere la propria strada.

La Torah, la legge ebraica, suggerisce una via. Sta poi all’essere umano, uomo o donna che sia, seguirne o meno il suggerimento.

Nessuno impone di mangiare kasher, né di rispettare lo shabat.

Nessuno impone di mettere la kippah o di coprire il proprio corpo in spiaggia.

In Israele ci sono spiagge separate per uomini e donne, spiagge miste, spiagge libere e spiagge sorvegliate. Ognuno è libero di scegliere la spiaggia che più gli piace.

Sono ebrea e indosso un costume modesto per andare al mare. Copre le braccia fino al gomito, le gambe fino al ginocchio. Lo indosso per scelta. Non pensavo che il mio costume un giorno avrebbe fatto notizia, finendo sui titoli di tutti i giornali de mondo come minaccia ai valori occidentali.

Tra il burkini e il costume modesto ebraico esiste una differenza.

E si chiama imposizione.

Le donne ebree sono libere di indossare il costume che preferiscono, sono libere di andare nella spiaggia che vogliono. Sono libere.

Alle donne musulmane non sempre è concessa questa libertà.

Il fruscio del burkini ha svegliato improvvisamente l’Occidente dal proprio letargo.

Ha fatto più rumore delle decapitazioni di religiosi nelle proprie chiese, degli accoltellatori nei treni, dei camion che uccidono decine di innocenti lungo la Promenade Des Anglais.

Il burkini è diventato il simbolo della mancata integrazione di milioni di individui sul suolo europeo. La punta di un iceberg che nessuno ha mai osato provare a fare sciogliere nel mare della civiltà.

Non è imponendo il bikini a forza che si risolverà il problema.

Ma forse è più comodo lottare contro il burkini.

Invece di entrare nelle moschee e vietare i discorsi che infiammano con l’estremismo gli animi di milioni di giovani.

Invece di smantellare le reti terroristiche che agiscono indisturbate sul suolo europeo.

Invece di liberare veramente quelle donne. Alle quali, da oggi, verrà impedito anche di andare al mare.

Invece di educare all’accettazione del diverso e all’apprezzamento del valore della diversità.

Invece di imporre il diritto a essere diversi. Vietando il burkini si rischia di scivolare nelle metodiche delle società che impongono il velo integrale. E di vedere, in chi non si adatta al proprio stile di vita, una minaccia alla propria esistenza.

Non combattete contro il burkini o il costume modesto indossato dalle donne ebree. Non sono le religioni che vanno combattute né le loro espressioni. E’ l’imposizione della pratica religiosa. Combattete contro le società che il burkini lo impongono. Combattete contro quei mondi che uccidono la libertà ogni giorno.

Liberate le donne da chi le considera esseri umani inferiori. Non dai burkini, quando li indossano per libera scelta.

Non è con l’imposizione della laicità che cambieremo il corso della storia. Ma con l’imposizione della libertà di scelta.

Libertè è indossare il costume che si preferisce, è camminare per le strade con la kippah in testa senza rischiare di essere presi a calci, a sputi in faccia. E’ andare in chiesa o in sinagoga con la preghiera nel cuore. E non con il timore dell’urlo di morte di un terrorista.

L’occidente si perde davanti a un burkini. Perché la battaglia contro l’estremismo è, con molta probabilità, già stata persa.

Avete altro da dire? Ripeto: 92 minuti di applausi!!!

“Loro”

Questa parte dell’articolo è in qualche modo il motivo della sua stesura. Ecco il post della mia amica Cassandra:

cassandra-commento-loro

Ho espresso che non ho problemi con il burkini, che vietarlo è inutile e che paragonare burkini a dalle divise delle suore è da ritardati.
Poi arriva il genio che risponde:
“Se vuoi puoi farti un giro da loro.”
Qualcuno mi spiega la logica di questa affermazione?
No, perché mi sta salendo il sergente Hartman.

Sappiate che il burkini non è apprezzato nemmeno ai musulmani salafiti (“ortodossi”). Ecco il tweet di Abu Hammâd Sulaiman Al-Hayiti, esponente dei salafiti di Montreal, che commenta il burkini come contrario all’Islam e alla Shari’ah:

salafiti-contro-burkini

Je ne sais pas pourquoi les Kouffars font tout ce vacarme sur le “bourkini”. L’Islam l’a interdit avant eux. Il contredit la Shari’ah.

Riporto ancora uno spezzone dell’articolo di Gheula Canarutto Nemni:

Vietando il burkini si rischia di scivolare nelle metodiche delle società che impongono il velo integrale. E di vedere, in chi non si adatta al proprio stile di vita, una minaccia alla propria esistenza.

Si, cari contrari all’uso del burkini (appartenenti alla destra e alla sinistra italiana), andate d’accordo con “loro”.

Attenzione, inoltre, a festeggiare e ad osannare questa imposizione sotto la bandiera della laicità assoluta, perché a quel punto si potrebbe parlare anche dei simboli cristiani (“e via ai soliti commenti sulla cultura cristiana e occidentale“).

David Puente

Nato a Merida (Venezuela), vive in Italia dall'età di 7 anni. Laureato presso l'Università degli Studi di Udine, opera nel campo della comunicazione e della programmazione web.
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